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Chiamami come vuoi, ma abbatti le barriere architettoniche

mare

Qualche tempo fa, durante un’intervista alla Tgr Sicilia, mi hanno rivolto una domanda alla quale non avevo mai pensato. Mi hanno chiesto cosa, secondo me, rendesse più difficile la vita di una persona con disabilità. Avevo tre scelte: il linguaggio che si usa per definire la disabilità, la burocrazia che, in tanti casi, è lenta e sorda alle nostre necessità e ai nostri diritti, le barriere architettoniche.

Ciò che serve davvero? Applicare la normativa sulle barriere architettoniche

Ognuna di queste opzioni rappresenta un grave problema per chi ha un handicap. Se tutte e tre sparissero la nostra esistenza sarebbe migliore, ma non viviamo nel mondo delle favole e non accadrà, almeno non in tempi brevi. Inoltre, sono una persona concreta e ho imparato a guardare più alla sostanza che all’apparenza e, così, ho risposto che a rendere più difficile la mia vita sono le barriere architettoniche. Parlarne ancora oggi, quando esiste una legislazione che garantisce la piena accessibilità ai luoghi, è sconfortante. Sono ancora troppo pochi quelli facilmente visitabili da chi ha una disabilità e questa è un’enorme discriminazione, considerando anche che si può usufruire di contributi per eliminare le barriere architettoniche. A cosa serve, quindi, un linguaggio politicamente corretto se, poi, non si può fare una passeggiata perché tutto è off limits?

Le barriere architettoniche non ci permettono di vivere come gli altri

Se dovessi scegliere, preferirei essere definita handicappata, mi auguro che nessuno storca il naso, ma avere la possibilità di andare dove voglio e quando voglio. Uscire con la serenità di non dover effettuare sopralluoghi per verificare l’accessibilità di un luogo o rischiare di arrivarci ed essere costretta a tornare indietro. Quindi chiamatemi come volete, ma abbattete le barriere architettoniche permettendomi di vivere come gli altri. Solo quando le persone con disabilità fisiche e sensoriali potranno andare in giro senza impedimenti, l’handicap sarà visto con normalità. Non sarà necessario utilizzare parole che non urtino la sensibilità altrui e che, in troppe occasioni, servono a nascondere ciò che non si fa concretamente.

La speranza risiede nelle nuove generazioni

Se un bambino in carrozzina, sordo, cieco, autistico potrà fare le stesse cose dei suoi coetanei normodotati, questi non vedranno alcuna differenza tra loro e l’amico disabile. Da adulti non avranno bisogno di dire audioleso al posto di sordo, non vedente invece di cieco o, ancora, diversamente abile anziché disabile, ma saranno persone che non occuperanno mai una rampa o un posto H. Se avranno ruoli negli organi competenti, renderanno le città accessibili e snelliranno la burocrazia, ostacolo insormontabile. Lo faranno perché si ricorderanno di quell’amico con cui condividevano giochi, uscite, divertimenti, vacanze e tutto ciò che rende una vita piena e normale.

Tutti abbiamo delle disabilità, solo che alcune sono più visibili di altre. Tutti abbiamo delle sfide, tutti abbiamo degli ostacoli.

Amy Purdy

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